venerdì 27 luglio 2012

PAGANESIMI ELETTRICI - Wim Wenders e il Fauno - Pt.3

"Wim Wenders e il Fauno" è l'ultimo racconto del ciclo "Paganesimi Elettrici". L'E-Book integrale è già disponibile qui, mentre per approfondire la genesi e il significato dei racconti il post di riferimento è questo.



Prima di Phallus Dei, album d’esordio degli Amon Duul II, non si era ancora parlato esplicitamente di Rock Gotico, ma quella appariva ora l’unica definizione possibile per un LP talmente tetro che sembrava veramente inciso in quella cantina, attorniato da tanta varia e diversa umanità perseguitata.
Luzifers Ghilom, a dispetto di un attacco scuro, fatto di grida e cigolii di catene, dispiega su un infinito tappeto percussivo un folk da battaglia che può essere Sister Ray in versione acustica, una sfrenata tarantella mediterranea, un sirtaki rivisitato o una freak-out jam texana. Poi arriva Karrer, sia nell’inestricabile gramleau anglo-tedesco quanto in uno scatenato scat a cappella, e chiarisce le cose: non è una musica, sono tante suonate tutte assieme. I due batteristi seguono ognuno la propria idea ritmica che mai coincide con quella del collega né tanto meno con quanto i chitarristi vanno perpetrando nel barrage circolare ed apparentemente inarrestabile. Da qualche parte, a metà del brano, il Principe Viaggiatore sentì chiaramente un’invocazione, pur difficile da comprendere, in quel linguaggio bastardo:

“Give me a land, it’s going to be real!”

Restituire la terra, quella stessa che aveva fatto scorrere sangue in mezza Europa. Allestire un rito cosmico per purificare un’intera generazione dai crimini dei padri, dagli omicidi, dagli assassini, dalle stragi gratuite e dalle discriminazioni. Poteva essere possibile? Intanto il brano proseguiva: Karrer, imbracciato il violino, stava intonando un lenta marcia funebre, addirittura un requiem tzigano per voci allucinate e malate, assecondato dai classici, inconfondibili riff perifrastici e ipotattici di chitarra che sarebbero diventati marchio di fabbrica del gruppo. Un andamento ondeggiante, ricadente, troppo esausto per reggersi in piedi, in continuo collasso, eppure imperterrito.
Nei due minuti marziali di Henriette Krötenschwanz era impossibile non avvertire la chiara ascendenza di White Rabbit nella ritmica e nel crescendo dinamico, mentre Renate si divertiva ad impersonare un mezzosoprano sul palco di un songspiel di Weil. Ma il coniglio bianco non ritroverà la strada di casa nel colorato Paese delle Meraviglie: è come disperso tra le suite di After Bathing at Baxter's, album così eccessivo da avere un impatto notevole su tutta la scena tedesca.
Di fuori, tra castagneti antichi, la marcia dei tamburi era assecondata a poca distanza dal tragico passo dell’oca dello squadrone di Hildebrandt. Sfondavano porte, incendiando fienili e massacrando animali, cose e persone, se per sventura capitavano sotto il loro sguardo.
Lontano, nella capitale, sull’altissima ziggurat dorata al centro di Berlino, gli ultimi gerarchi stavano ricurvi a scrutare il Reich che sprofondava in un mare di fiamme rossastre.
Sotto l’occhio immobile della cinepresa, gli Amon Duul attaccarono il loro brano-manifesto, quello che li avrebbe resi autentiche celebrità dell’underground: Phallus Dei, osceno ma non volgare già dal titolo. 

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