martedì 7 agosto 2012

PAGANESIMI ELETTRICI - Wim Wenders e il Fauno - Pt.4


Inizia con un montaggio estemporaneo di grida, rumori, sbarre e catene, sirene antiaeree, squassi di trombe abbandonate nei golfi mistici deserti dei teatri di città. In alto, i gerarchi, i massimi ufficiali, i dignitari e i ministri allungano il collo spennacchiato scrutando di sotto. Loro non sono soldati, ma burocrati; non sono statisti ma contabili; non intellettuali ma ideologi Non hanno la divisa, vestono in giacca grigia. Non hanno nemmeno la pistola al fianco. Si difendono con l’ignoranza altrui.


Dave Anderson carica un riff incalzante di basso e i chitarristi gli si lanciano appresso inscenando una blues-jam tra Wheels Of Fire e il Bloomfield di East-West, forti di una percussività ancora sconosciuta e di uno sfondo nero ripescato da Stooges o Doors o Velvet o Stones; o da tutti, contemporaneamente. Mentre il rock britannico, con le cerebrali improvvisazioni di Clapton,  aveva scoperto un insospettabile tasso di autoreferenzialità, tanto grande da farlo presto sprofondare, nella bassa Baviera, ma anche a Colonia, a Dusseldorf, ad Amburgo i pionieri tedeschi ricostruivano da capo le regole del gioco. L’organo di Rogner indulge sulla stessa nota per minuti interi, profondo nel mix, per poi emergere, di tanto in tanto, sfiatando arabeschi come Manzarek in When The Music's Over o Doug Ingle da qualche parte in In-A-Gadda-Da-Vida, mentre Erik Braunn imita il barrito dell’elefante sulla Gibson. E’ un quadro di Bosch che prende vita, sono i Grandi Capi del Nazismo prigionieri della loro stessa torre, rinchiusi su, in cima. Il rito ha inizio. Si risveglino le creature del passato: i Titani, i Giganti, le Gorgoni, il Minotauro, spiriti celesti zoroastriani, Jinn arabi. Tutti diano l’assalto finale al monolite del pensiero assolutista e negazionista. Il pensiero che nega l’altro, chiunque esso sia; che nega la diversità, la multiformità. La difformità e la malattia. La musica rinforza, una nuova pellicola sulla cinepresa. Il regista non manca un attimo della performance: il gruppo spinge sull’acceleratore, un rave-up cosmico quasi illumina tutta la cantina di pietra. Dopo dici minuti di improvvisazione furente, Karrer si rimpossessa del violino: secondi di silenzio, una melodia gentile appena accennata. I Fauni di tutti i boschi danno l’assalto definitivo alle sfiancate SS. Combattano con frasche di salice e rami di quercia, al ritmo di tabla, tamburelli e batterie: un arsenale pacifico che introduce il tema definitivo in un girotondo enorme e vorticoso. Si schiudono le porte di ogni rifugio: turchi, africani, arabi, polacchi, ebrei, storpi, deformi, disabili, omosessuali, matti e profeti si riprendano pure la terra che gli appartiene. Dopo alcuni minuti di percussioni tanto insistite da creare una tensione insopportabile, Weinzierl e Karrer legano chitarra e violino a filo doppio in una danza antica e silvana. Poi il ritmo rallenta e genera il riff più mostruoso e meraviglioso dell’epoca: l’esorcismo ha inizio.

AKABARA NOW!!!
Seraphine cries how
Minotaurus ran
They broke the magic stick
Is creeping 'round the mill
AKABARA NOW

Il Minotauro mena fendenti di clava alle fondamenta della ziggurat che collassa come un castello di carte portandosi dietro generali, teorici della razza, dittatori e propagandisti. Il girotondo continua e potrebbe durare in eterno. Il riff che si nutre di sé stesso avanza come la Ruota dei Tarocchi, scendendo dalle colline verdi e gialle del tramonto verso le conurbazioni di Monaco, Augusta, e  Ratisbona. Giorni e giorni ha continuato. L’Arte, che fonde in sé le bellezze più diverse, aveva sconfitto il Mostro.
Il Principe Viaggiatore non aveva mai assistito ad un rituale di quella portata.
Un sole umido sorgeva dietro le colline del Simsee quando la chitarra di Weinzierl, stremata, si assestava su un riff rallentato, rubato ai Kinks di Come on Now. Le truppe alleate avevano sfondato ogni resistenza, Patton avanzava sicuro sull’ Austria, mentre lo sterminato esercito dalla Stella Rossa aveva in mano la capitale. I Fauni, le Gorgoni, il Minotauro  e i Titani tornarono ad assopirsi tra le felci del sottobosco.
La cinepresa ancora riprendeva immobile il gruppo avviato al termine di una maratona sonora che allora aveva pochi rivali nel pur debordante panorama musicale del suo tempo. La luce era entrata  gioiosa dal portone finalmente spalancato, illuminando una stanza ormai vuota. Tutte le diversità erano libere nel Mondo, percorrendolo senza più nascondersi, arricchendolo con le loro storie, le mille lingue diverse, i vestiti dalle fogge sgargianti.
I ragazzi del gruppo avevano già riposto gli strumenti: non serviva un veggente per predire loro un futuro di luminosa e misconosciuta Arte.
Il regista impilava meticolosamente le scatole di pellicola; la cinepresa era ancora ritta sul treppiede, pronta a divenire il simbolo supremo di una nuova e subdola dittatura. Ora, spenta, non emetteva nessun rumore; nessun ronzio di insetto metallico. Faceva meno paura.
Il principe Viaggiatore ripose nel suo zaino una copia di Phallus Dei, ammirando a lungo quella copertina bluastra che sembrava uscita dalla tela di Friedrich.
Poi, girato il cavallo, lo spronò verso un tempo lontano, attraversando i filari scuri di querce su cui si infrangono le onde della Musica Perfetta.

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