sabato 15 dicembre 2012

Le brutte recensioni – Proposte per testi diversi (parte 2)


Lessico

Il lessico è una miniera inesauribile di soluzioni nuove; esplorate un dizionario per scoprire nuovi tesori che mai avreste pensato di potere utilizzare in una recensione rock!
Per esempio l’uso di un lessico settoriale diverso da quello musicale è un buon modo per evitare frasi fatte ed aggettivazioni abusate. E’ una pratica che funziona bene in abbinamento al precedente (la concettualizzazione), restituendo omogeneità e progettualità alla recensione. Per esempio se estrapolo concetti di design, posso puntare su attributi tratti da questo settore; con generi assai caratterizzati come lo Space Rock o la Cosmische Music l’accostamento al settore fisico-astronomico è quasi d’obbligo; la rumorosità del noise è ben affiancabile a terminologie meccaniche o industriali.
La scrittura scientifica, per dirne un’altra, offre molteplici possibilità di aggettivazione interessante: pachidermico, ferino, rettiliano, invertebrato, larvale… solo restando nel campo “biologico”. Archeozoico, neandertaliano, megalitico, australopitecino… in campo geologico. Per esempio, al posto di riff primitivo, riff mesozoico è, se non più efficace, almeno più originale e ricercato. Attenzione, più i termini sono difficili e specifici, più vanno utilizzati con parsimonia, altrimenti al lettore occorre un dizionario!
Altro campo semantico utile è quello relativo alla tecnologia e ai motori: cromato, smaltato, rotante, monofase, assemblato… ; piccole miniere di parole spesso trascurate.


Altra soluzione alquanto divertente: neologismi. Risolvono situazioni complicate nello spazio di poche battute. Alcuni sono ormai quasi d’uso comune (zeppeliniano, hendrixiano...) altri, come insegna Julian Cope non hanno confini: tonyiommismo, jeffbeckeggiante, johnnywinterismi, chuckberrista ce ne sono per ogni gusto. Attenzione però a non abusarne: con più di uno o due a recensione si diventa ridicoli. Occorre sfruttarli con moderazione.
Una via ancora più semplice al neologismo è l’utilizzo dei numerosi prefissi che le lingue classiche mettono a disposizione dell’italiano. Archeo-, proto-, ultra-, arci-, para- e compagnia bella ci possono risparmiare un’aggettivazione. Piuttosto che “molto progressivo” possiamo dire “ultraprogressivo”; piuttosto che “quasi psichedelico”, “parapsichedelico”. Queste parole risultano assai meno leziose di quelle presentate in precedenza e possono essere utilizzate con meno parsimonia.

Ultimo spunto, un po’ di sano futurismo. E’ sempre un’approssimazione riprodurre a parole il timbro di uno strumento, ma l’onomatopea aiuta: bam, bam, du du duum, clag, whaaaa; a ciascuno il suo. Ci si può sbizzarrire senza rinunciare all’ironia e ad una buona comunicazione. Da usare con moderazione anche maggiore dei precedenti, i futuristi non sempre sono ben visti.

Qualche altro accenno di violini, un momento di esitazione e... wahhhhhhhhhhhh, l’orchestra inizia ad ascendere fendendo l’atmosfera. Poi un arresto improvviso, e l’ormai familiare Zzzzzzzzzzzzzz dei sintetizzatori di Klaus prende il controllo.

Julian Cope - Krautrocksampler


Sintesi

Non sono tanti gli album che necessitano di più di una “cartella” di recensione; ahimè di Blonde on Blonde o Astral Week ce ne sono solo due; ma la vera ragione è più che altro di ordine pratico: soprattutto sul web, la sintesi facilita il lettore.
E’ d’altro canto un vincolo per l’autore che deve selezionare con attenzione il materiale in suo possesso, costringendolo ad una valutazione più attenta del prodotto. Una regola generale: dare il massimo peso alle parole per potere scaricare le frasi rendendole più brevi. Sotto questo aspetto i punti precedenti aiutano: il riferimento ad una canzone simile può risparmiarci lunghe descrizioni; un singolo aggettivo scelto con cura risparmia fastidiose endiadi e pleonasmi (chilometrici e logorroici assoli …quante lettere sprecate); un neologismo o un’onomatopea sostituiscono bene alcune perifrasi.
Rinunciare alle lunghe digressioni; non ce n’è bisogno e spesso sono segno di saccenza e supponenza oltre che essere causa di “fuori tema” clamorosi. Non bisogna mai perdere di vista che il primo referente del nostro testo è l’album in questione, non un periodo storico, un genere o la vita intera di un artista.

To help bestow a modicum of spiritual contentment on those born too late to have seen their original incarnation, the New York Dolls released two perfect albums in August 1973 and May 1974. The second ranks second because the greatest David Johansen originals are on the debut--only the climactic "Human Being" achieves the philosophical weight of "Personality Crisis" or "Trash." But if any band today shopped hooks as sure and lyrics as smart as those of "Who Are the Mystery Girls?" "Puss 'n' Boots" or guitarist Johnny Thunders' "Chatterbox," the Strokes would buy a boutique and retire. And the covers are magnificent: a Sonny Boy Williamson song that turns the Chicago blues master into a campy scold, and two R&B novelties whose theatrical potential was barely noticed until the Dolls penetrated their holy essence.

Robert Christagu sbriga la recensione di Too Much Too Soon dei New York Dolls in 820 battute, di cui la metà sono titoli di canzoni e nomi propri.


Tempo

Un testo, ancorché breve, richiede un tempo minimo di stesura. Non voglio stare a fare la solita raccomandazione da liceo “rileggete prima di consegnare” anche perché rileggere nello stesso contesto e consequenzialmente al momento della scrittura risolve, forse, solo gli errori di ortografia (ok, non è poco…). Per la mia esperienza personale un testo andrebbe lasciato decantare per almeno ventiquattro ore, tempo che il cervello si scarichi dal traffico di connessioni generate dalla prima stesura. Una o più riletture dilazionate nel tempo contribuiscono molto a sistemare frasi intricate, identificare i termini più giusti, bilanciare i giudizi e migliorare omogeneità e integrità del brano.


Esattezza

Non tanto una proposta quanto una condizione di fondo sempre indispensabile.
Lasciando da parte la pur importante esattezza intesa come correttezza linguistica (ortografica, sintattica…), ciò che più interessa è come si inserisce questa qualità in un contesto così soggiogato alla soggettività come la “critica musicale”.
Ad un livello più elementare è l’esattezza nelle citazioni cronologiche, spaziali e personali.
Posso dire  “The Village Green Preservation Society è un concept album” mentre dire “The Village Green Preservation Society è il primo esempio di concept album” non è esatto, va da sé…
Apparentemente semplice, ma non fidiamoci mai troppo della nostra memoria: l’errore è sempre dietro l’angolo e Google aiuta a risolvere certi dubbi in maniera quasi istantanea.
C’è poi un altro tipo di esattezza, che coincide maggiormente con il concetto di accuratezza (intesa come cura per la precisione), tanto nei riferimenti diretti quanto nelle contestualizzazioni più ampie. Si è già sottolineato come un riferimento che risulti condiviso sarà migliore; migliore in quanto, evidentemente, più accurato. In questo campo certo non esiste un metro di giudizio univoco; ma così come esistono equazioni con più risultati possibili, esistono anche molteplici esattezze o, meglio, vari gradi di accuratezza.
Dire che “il riff di pianoforte in All Summer long di Kid Rock ricorda assai quello di Werewolves of London di Warren Zevon” è lecito e condivisibile, in quanto l’affermazione deriva da un riscontro sensoriale preciso; un po’ come dire che Counter Composition di Theo van Doesburg ricorda molto certe opere di Mondrian (o viceversa).




Dire che “un assolo di Eddie Hazel ricorda una smitragliata di Shaft” è certo meno esatto, ma non manca l’accuratezza in questo riferimento che mantiene stabili alcune coordinate importanti (cronologiche, sociali, razziali…), pur non derivate direttamente da equivalenze sonore.

[I fratelli Ayler] rappresentarono il lato musicale del cambiamento nella coscienza nera, nel momento in cui la gratitudine verso i difensori bianchi dei diritti civili, negli ultimi anni del decennio, si evolveva nella Furia della Pantere Nere.

Joe Boyd – Le biciclette bianche

In conclusione mi approprio di una pagina dalle Lezioni Americane di Italo Calvino dedicata  proprio all’esattezza, ma che funzione perfettamente anche considerando un quadro ben più ampio.

Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:
1) un disegno dell'opera ben definito e ben calcolato;
2) l’evocazione d'immagini visuali nitide, incisive, memorabili; in italiano abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese, “icastico” dal greco “eikastikoV
3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.
Perché sento il bisogno di difendere dei valori che a molti potranno sembrare ovvii?
Credo che la mia prima spinta venga da una mia ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto. La letteratura — dico la letteratura che risponde a queste esigenze — è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere.

3 commenti:

Elle ha detto...

Io direi che anche “pseudo-innovativo” è un neologismo utile, mentre per gli altri sono arrivata alla tua stessa conclusione, ma prima di te, nel senso che già il primo termine del tipo "jeffbeckeggiante" mi suonerebbe ridicolo, ma ho notato che nelle recensioni si usano molto; in realtà nella critica letteraria sono abbastanza acclimatati nel lessico specialistico, forse mi suona strano solo trovarlo in ambito musicale.
(Intanto ho imparato una nuova parola: “lezioso”)
Sui titoli e nomi, trovo che il testo si appesantisca un po’ troppo quando ce ne sono tanti, mi danno sempre un senso di fastidio, perché non conosco mai nessuno dei citati; poi ho letto il post precedente sulla contestualizzazione, e in effetti un minimo ci vuole, però senza esagerare (ah, ma è quello che dici anche tu?).
Insomma, questo post mi ha attirato per il titolo, e mi è piaciuto, perché non avevo mai pensato che certe regole sulla scrittura potessero applicarsi anche alle recensioni di musica (eppure ora che l’ho scritto mi sembra abbastanza logico).

Unknown ha detto...

@elle grazie per il "doppio-commento".
Che dire... credo sia difficile parlare di "regole", mi accontento di qualche spunto di riflessione o linea guida!
Sono convinto che scrivere di musica sia molto più "approssimativo" che scrivere di letteratura (e anche di cinema); però c'è approssimazione e approssimazione. Queste proposte mi sono utili per mettere assieme una "bella Approssimazione".
Riguardo alla questione contestualizzazione-citazioni: se sono fatti bene servono proprio a spiegare una "certa musica" a chi non me mastica tanto: funzionano però solo in una direzione. Se dico "i Big Three suonano come i Beatles degli esordi" sono (probabilmente) stato utile; se dico il contrario (I beatles suonanao come i Big Three...), allora forse non ho raggiunto il mio scopo.
Poi ci sta che uno non abbia mai ascoltato i Beatles, per carità!))

Elle ha detto...

I Beatles li conosco, ma non saprei dire quali siano quelli degli esordi.. Una "bella approssimazione" va più che bene, lascia spazio alla creatività di chi scrive, dando un motivo in più per preferire un recensore ad un altro.

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