mercoledì 27 febbraio 2013

US Hard Rock Underground - Una nuova British Invasion?


The roads are larger now, it’s a grey afternoon in the stars' back yard. Now I have to write quickly as the altimeter is beating me. The city looks dusty — L.A. is supposed to be 60 miles across. Sixty miles of freaks, stars, pretenders, and dollar worshippers — here we come! Toy palm trees, a baseball stadium. The dinkies become real cars. We’re low and still no airport. You get that ‘Will we hit the runway' feeling about now. Some American airports are frightening. Down, down, down - we’ve landed — our American tour begins!
Oil containers, radar towers, Delta, Shell, Castrol, ‘Fly TWA - L.A'. Captain welcomes us to the USA.
 Ian Hunter – Diary of a Rock n’ Roll Star

Se la prima, più celebre, British Invasion portò oltreoceano il merseybeat dei Beatles, il primo brit-pop di Kinks e Manfred Mann, il blues bianco di Stones e Animals, vi fu un altro, minore, arrembaggio inglese alle classifiche americane tra la fine degli anni ’60 e i primissimi ‘70. E questa volta il volume era decisamente più elevato.

lunedì 25 febbraio 2013

Blob vs. Dark Side Of The Moon


Qualche passo avanti; un risultato più sopra le righe e soprattutto meno tempo per ottenerlo. Per chi non avesse familiarità con l’esperimento “Blob”, questo è l’imprescindibile post di riferimento.

E ricordate sempre che, come diceva tale J.C. ad un prefetto romano in un famoso musical: Your words, not mine!

giovedì 21 febbraio 2013

US Hard Rock Underground su Spotify


Da qualche parte si legge che Spotify, la piattaforma streaming di recente approdata in Italia, cambierà per sempre la fruizione della musica. Si è detto già per tanti, da Napster in giù. Questo nuovo servizio (o “app”, o qualunque cosa sia)  dovrebbe accontentare tutti: ascoltatori, artisti, social network, case discografiche, gestori.
Interfaccia immediata, aperto al web sociale. Ha tutte le carte in regola (come direbbe Ciampi) per diventare un colosso. O no?

martedì 19 febbraio 2013

A Mess of Riff - US Hard Rock Compilation #2



Abbiamo battuto il nord ed il midwest; abbiamo conosciuto Jim Gustafson, il cacciatore di licantropi, e il solitario Drew Abbot, uno che non ha tanti amici. Altri dieci album sono andati ed è ora di riposarsi una notte nel motel più squallido della 64.
Qui NON troverete necessariamente buona musica; troverete birra, clamorose ingenuità e qualche bella scazzottata tra bikers in parcheggi dimenticati e stracolmi di pick-up.

US Hard Rock Underground è di casa in questa pagina, dove, pezzo dopo pezzo, si sta cucendo assieme una corposa introduzione alle recensioni: qualcosa tra la creatura di Frankenstein ed una deviante accozzaglia di monografie.
La prima compilation di US Hard Rock Underground è sempre disponibile qui:


Per i curiosi, gli irriducibili, per coloro che non ne hanno mai abbastanza, ci sono le sconfinate compliation che il buon Vlad di Isle full of noises sta costruendo con somma pazienza e competenza. Correte subito a curiosare tra la serie Fools, villains and guitar heroes!!


E adesso alzate il volume e fatevi l’ultima birra, si parte…


A Mess of Riff - US Hard Rock Compilation #2


domenica 17 febbraio 2013

venerdì 15 febbraio 2013

The Pink Fairies - What A Bunch Of Sweeties


All’abbandono del visionario Twink, i Pink Fairies si ritrovarono a gestire un classico power-trio di inusitate anarchia e ruvidezza. Senza timori di sorta, si issarono felicemente a portabandiera della sbandata fauna alla periferia di Notting Hill, e, lasciando agli Hawkwind le incombenze intergalattiche, si gettarono a capofitto in What A Bunch Of Sweeties, una collezione di jam rock urbane che risuonano grezze come improvvisazioni di buskers elettrici nella stazione di Portobello. Right On, Fight On è l’inno archeo-punk di turno, Portobello Shuffle la divertente caricatura delle gang della zona. Poi la chitarra di Paul Rudolph si impossessa con la forza di mastodontiche maratone come I Went Up, I Went Down e Walk Don't Run che dilata la leggera visione surf dei Ventures in un’epopea di stordimenti cittadini alla luce dei primi neon dopo il tramonto. E che peccato sprecare il riff di Marylin per l’ennesimo drum solo! Ma del resto damerini come i Led Zeppelin facevano anche di peggio.

mercoledì 13 febbraio 2013

Don Bronstein plays the Blues

Don Bronstein è stato un grande nome della fotografia tra gli anni 50 e 60. Già fotografo per Playboy Magazine, fu anche il ritrattista "ufficiale" per la casa discografica Chess, cioè la casa base del “Chicago Blues” che più classico non si può.
Notevoli alcune copertina per Sonny Boy Williamson II, John Lee Hooker e vari ritratti "urbani" per jazzisti di casa Verve o Argo. La celebrità, pur con la lettera minuscola, arrivò nel 1964, quando il suo scatto per la copertina di People di Barbara Streisand vinse addirittura un Grammy. Lo stesso anno aveva firmato lo scatto per il primo LP di un’ altra futura star del grande schermo, Woody Allen.


Sonny Boy Williamson - Down And Out Blues
1959
Uno dei primi, e più controversi, scatti per la Chess


martedì 12 febbraio 2013

venerdì 8 febbraio 2013

The Eighties Matchbox B-Line Disaster ‎– The Royal Society


E allora venite! Venite infaticabili cercatori di alternativo, ragazzini curiosi, ventenni indie e antichi punk. Venite al malefico Luna Park che gli Eighties Matchbox B-Line Disaster hanno costruito su quel vecchio terreno di sepoltura indiano i cui spiriti riemergono nelle notti che piacciono all'Uomo Lupo.
Uno psychobilly nevrotico, dalle pesanti tinte dark, inserito su paure di chitarre distorte e terapie alla Clorpromazina. Un cantante che fa la voce grossa per spaventare i bambini nella notte di Halloween, rimasugli dei Cramps, battiti di Bo Diddley (Rise Of The Eagles), cattiverie fender alla Ward Dotson (The Fool) ed un'estetica di tetra ironia tra la Famiglia Addams e le trascrizioni più truci di Scooby-Doo, che arriva fino a qualche frammento di Joy Division a fumetti,  rumorismi mentali da Killing Joke (I Rejection) e le zanne di plastica dell’ultimo Jon Spencer.
The Royal Society è il loro secondo album: tantissime tracce, tantissime giostre; poche superflue, alcune veri e propri labirinti dell'orrore (Puppy Dog Snails, Drunk On The Blood, Freud's Black Muck), altre giochi di specchi alla neo-mescalina (The Dancing Girls, Temple Music). Il rondò diabolico di I Could Be An Angle vale il prezzo del biglietto.

martedì 5 febbraio 2013

Il Bollettino di Capitan Vinile – Febbraio 2013 – Basi USA in Germania


Febbraio è appena cominciato e ospitiamo, declinando ogni responsabilità, il mensile dispaccio di Capitan Vinile.
Buona lettura… se ve la sentite.


Ombrosi discepoli dei trentatregirieunterzo, è Capitan Vinile che vi parla.
Ho dedicato le ultime settimane a cercare di sondare in profondità il mio rapporto col kraut-rock. A dirla tutta, nemmeno ho capito del tutto che cosa la gente intenda quando parla di kraut-rock. E’ qualcosa di geografico? Alimentare, musicale, estetico? E’ una facile etichetta giornalistica vagamente razzista, un genere autonomo, riconosciuto?
Avevo un amico, un gioioso estremista musicale, che considerava veramente kraut solo due gruppi: Neu! e Kraftwerk. Tutti gli altri stavano incasellati disordinatamente da altre parti: Can, troppo funky; Faust, industriali; Ash Ra Tempel, new age…. Non gli ho mai dato troppo peso, anche perchè era il tipo di integralista che si sarebbe volentieri fatto saltare in aria sul palco di X-Factor al grido di Hallogalloooooo!!!
Al contrario, coloro che devono vendere sembrano considerare questo genere in maniera estensiva: ogni album prodotto nelle lande mitteleuropee tra il ‘70 e il ‘77 diventa una Graal kraut-rock. Se poi ha un nome complesso - Subject ESQ, Emtidi, Missus Beastly - e una copertina con accostamenti cromatici bizzarri, allora ognuno si sente in dovere di sparare cifre pazzesche. Così l'ingenuo vinilomane alle prime armi corre il rischio di spendere una fortuna per qualche LP di europop belga o per una compilation proto-dance del Canton Ticino.
Ma del resto, cosa c'è di bello in un LP kraut se non il nome e la cover? Anzi, il valore di questi album pare direttamente proporzionale alla difficoltà di lettura di titolo e autore. Tanto che, scambiando due chiacchiere, ormai più nessuno si azzarda a citare letteralmente questi nomi. Vuoi mettere pronunciare Witthüser & Westrupp, Lieder von Vampiren, Nonnen und Toten? Molto più facile “Ohr -  56002”. Ed ecco che nasce una sorta di codice segreto per gli adepti del pop crucco.
Il mese scorso mi sono divertito a partecipare ed assistere ad alcune aste per titoli imponenti. Ho fatto un paio di offerte per un Tago Mago di stampa tedesca, fermandomi a quota 47,50 € e sono stato ad un passo dall'aggiudicarmi Yeti su etichetta Liberty: ho perfino rilanciato l’offerta all'ultimo secondo, roba che non facevo da tempo immemorabile, ma d'altronde Yeti è l'unico album che mi manca tra quelli che contano degli Amon Duul II (sempre che la ristampa Sunset di Phallus Dei conti qualcosa...) Alla fine, come al solito, mi hanno fregato e i miei 56,78 € non hanno ottenuto nulla.
Ma i botti veri si devono cercare per gruppi molto più remoti (a parte un Ege Bamyasi con poster a 604,33 euro...). Ho passato molto tempo ad affinare parametri di ricerca rigidissimi per scandagliare il web, e sopratutto i siti di aste, alla ricerca dei veri titoli kraut: incrociando nomi dei complessi e etichette discografiche importanti (perché è lì che si deve battere se si cercano i pezzi che contano davvero) pensavo di potere ottenere risultati precisi. Niente da fare, non faccio che trovare vecchie cassette magnetiche Basf da 90 minuti e orridi album di Emerson, Lake and Palmer. Però alla fine qualcosa rimane nella rete, e, a proposito dei gruppi remoti di cui sopra, è stato divertente assistere all'asta per il primo lp degli Eloy (Philips 6305089). Ora, è noto che gli Eloy sono tutto tranne un gruppo kraut e che quest'album vale sopratutto per il complicato formato del packaging che riproduce un bidone per rifiuti apribile, ma comprarlo per 555 euro, dopo 22 offerte... E neanche è stato il botto migliore perché un titolo assurdo come Reflections On The Future dei Twenty Sixty Six And Then (1972, UAS 29314), oltretutto con una delle copertine più brutte della storia, è stato battuto per 671 euro. Misteri del collezionismo.
Per riprendermi dallo smacco di aver perso Yeti sul filo di lana, forte comunque dei 56 euro risparmiati, ho deciso di buttarmi in un'altra zona d'ombra. Il mercato discografico americano è talmente vasto che non basterebbe una vita per esplorarlo tutto. In ambito prettamente rock, al di là degli eroi di fine anni ’50 (Berry, Holly, Lee Lewis) della psichedelia tra ‘66 e ’68 e di qualche uscita surf, non esistono veri filoni specifici di pietre preziose viniliche. Così ho scelto di girovagare tra il mainstream di quegli anni in apparenza terrificanti compresi tra il '75 e i primi ‘80. Cioè quando tutta l'androginia e il punk che arrivavano dall'Inghilterra venivano bellamente snobbati dall'americano medio per cui l'omosessualità sbandierata era roba, appunto, “da inglesi” e il "no future" era anticostituzionale.
Ero conscio del rischio: musicaccia melodica per ragazzine del college, pseudo-disco sintetica e chissà quante altre porcherie. Ma se sono esistiti i Pere Ubu, qualche speranza ci sarà pure…


Fortunatamente c'è sempre quel californiano che svuota la cantina, e con parte di quei 56 euro ho portato a casa un pacco di roba, tra cui: Teenage Magic dei Gambler, Pieces Of Eight degli Styx (a 0,74 euro… ma come chiedere di più?), l’album omonimo degli Zebra (addirittura 1,69) e About Us degli Stories (98 cent).
Spesso l'acquirente medio si fa spaventare dalle cifre dei costi di spedizione dagli USA, dimenticando che il buon vecchio euro un po' aiuta e che tutto sommato, se pago un disco appena 2 dollari... Senza contare poi che con acquisti multipli la spedizione si abbassa proporzionalmente. Una ventina di euro per cinque dischi fa poco più di quattro euro l’uno, non male per un viaggio di 8.000 chilometri.


Certo la cantonata è sempre dietro l’angolo: pacchi approssimativi, nessuna busta in plastica protettiva (costerebbe più del vinile stesso), tempi d’attesa lunghi. Tanto lunghi che qualche volta quando finalmente arriva il pacco nemmeno più ricordo cosa possa esserci dentro. Meglio! Effetto “auto-sorpresa”.
Quello degli Stories (Kama-Sutra KSBS 2068) è un gatefold ad apertura verticale, come Monster degli Steppenwolf, spesso tre dita e dalla copertina piena di occhioni languidi tra il ceruleo e l’oltremare. Anno 1973. In teoria roba da teenagers in calore; però non tutto è da buttare. Tredici brani, un pop leggermente frizzante come una versione plastificata dei Big Star, qualche groove interessante sul lato B, un po’ di glam, funk bianco a buon mercato. Alla fine c’è anche Brother Louie che fu addirittura n° 1 Billboard nel settembre ’73. Su Amazon non è nemmeno scontato trovare il CD; più di dieci dollari per un pezzo usato, probabilmente non esistono riedizioni della prima stampa del 1996. Non mi lamento, un acquisto discreto.


Zebra (Atlantic 80054-1) è un LP del 1983 in cui riponevo discrete aspettative. Mai coverto prima, ma qualcosa mi diceva che poteva essere un buon disco.
Copertina nera, busta interna nera coi testi, etichetta Atlantic verde e rossa: una garanzia. Dalle foto diresti che sono un amalgama tra Police e primissimi Rush. Dalla musica diresti decisamente Rush, non primissimi. Falsettoni e sintetizzatori di sfondo (non troppo invadenti, grazie al cielo). Ma anche metallici riff hard ’n’ roll. Nessuna bizzarria, pochissima auto indulgenza. Nessuna La Villa Strangiato e anche i sette minuti dell’imponente ballata Take Your Fingers From My Hair filano via lisci. Vinile lucido e ottimo audio, oltretutto. Bello.
Degli Styx non parlerò: sapevo bene cosa stavo comprando. Però ammetto che ancora non ho capito se, con quella voce così persuasiva sull’ottimismo pomposo dell’American Dream, Dennis DeYoung sia un cantante, un adepto di Scientology o un mental trainer del marketing piramidale ad una convention sull’ autoaffermazione. Cioè, ma veramente dobbiamo sorbirci roba come Great White Hope o I'm O.K??


Ammetto che Teenage Magic (EMI America ‎– SW 17009, busta interna bianca con i testi) mi spaventava alquanto. 1979, prodotto dalla EMI America su una label “verde clamoroso”, con quel logo in giacca-e-cravatta che trasudava funky-dance e una copertina dal vago sentore anni ’20. Mi consolava la foto del gruppo sul retro, a metà tra gangster di Chicago e facchini del Village (in grado però di sfoggiare qualche bel paio di jeans a zampa). Ebbene, surprise surprise, ecco un maturo album di AOR in uscita dal pub per lanciarsi nelle arene, ben cantato, rifinito da venature soul di Hammond e sostenuto da una chitarrona assai abile. Per l’amor di Dio: c’è romanticismo e miele a go-go, ballatone sentimentali ed happy-end scontati. Ma l’ascolto viaggia sempre alla grande tra Reo Speedwagon, Kansas, Toto, Jerry Rafferty, e anche qualche tentazione più robusta di fine decennio in zona Nazareth o Foreigner. Comunque, Americani fino al midollo. Tennage Magic che chiude il lato A è un pezzo assai scaltro. Dispiace quasi che furono subito scaricati dalla EMI dopo il secondo album. A quanto pare il disco non è mai stato ristampato in CD: ma del resto se non è qualche reliquia di psichedelica pesante a nessuno importa… Eppure, guarda un po’: proprio i Gambler sono stati la sorpresa più positiva del lotto.


Questo rafforza la mia convinzione che, nonostante tutto, ampie regioni del pop americano a cavallo tra 70 e 80 siano assolutamente zone vergini; per le orecchie e per i portafogli. Artisti indecisi tra nostalgia seventies, imitazioni punk, tentazioni metal e glamour disco. Nessun genere di riferimento, nessuna etichetta (ancora) da collezione, per fortuna. Prezzi contenutissimi e qualche bella sorpresa. Per non parlare di  quell' enorme buco nero del “progressive yankee”, il genere inesistente, un po’ come il Cavaliere di Calvino. E’ accaduto veramente? Chi ne faceva parte? Quali le sue caratteristiche? Fu una risposta ai grandi nomi inglesi o qualcosa di differente? Tante domande che meriteranno una discussione apposita, e forse anche qualche risposta.
Allora cosa aspettiamo?
La verità è là fuori!
Capitan Vinile alza la puntina e vi saluta!

Capitan Vinile

lunedì 4 febbraio 2013

Controfestival - Fase 4



Amici followers, è nuovamente l’ora delle votazioni per LA MUSICA E' SEMPRE PIU' BLU!

Dopo la votazione per le prime due categorie – Musica alternativa e Italian Trash – hanno inizio oggi le votazioni per le due categorie rimanenti: Italian Best e l’Ospite Straniero, 69 pezzi in gara per la prima, 30 per la seconda, e 6 soli posti per la finale, sarà un nuovo scontro all'ultima votazione per aggiudicarsi i posti per la finale! Il giudizio spetta al popolo della rete, quindi fatevi avanti!...

Per ogni categoria saranno scelte le 3 canzoni più votate, canzoni che approderanno alla finale di sabato 16 febbraio, può votare chiunque, senza necessariamente essere iscritto al contest, e per farlo basta andare sul blog dell'Orablù, lì troverete i sondaggi nei quali potrete scegliere i vostri pezzi preferiti. I sondaggi permettono una scelta multipla fino ad un massimo di 9 preferenze per ogni categoria; la votazione per ogni categoria è permessa una sola volta per ciascuno, onde evitare ondate di votazioni che inficerebbero il risultato finale. Da questo momento hanno inizio ufficialmente le votazioni per le categorie "Italian Best" e "Ospite Straniero", i sondaggi si chiuderanno sabato 9 febbraio.

Su questo, come sugli altri blog che partecipano al contest, potete trovare i gadget per ascoltare tutte le canzoni in gara, mettetevi in ascolto e VOTATE VOTATE VOTATE!!!!

domenica 3 febbraio 2013

Frammento #14 Isola di Taiwan - Comando 4° MSIG,Divisione Guerra Psicologica - 27-09-2034



Frammento #14 Isola di Taiwan - Comando 4° MSIG,Divisione Guerra Psicologica - 27-09-2034

Seduto in una poltrona di plastica scura, a un capo del tavolo, stava un omino in vestito scuro, con una grossa catena reggente una croce impuntata sul petto. Sembrava un prete cattolico Nord Coreano, o un Evangelista dell’ estremo Sud.
“Allora… potreste chiedervi perché siete qui, questa mattina, e non dal colonnello Berenger forse”.
Io e Garner ci scambiamo uno sguardo volante, che Crowley ha sicuramente compreso. Ray sta a testa bassa.
“Ma intanto lasciate che vi presenti il Signor De Val. Lui lavora per l’ufficio del senatore Lenroot nel Wisconsin.”
Il prete si alza con lenta deferenza. Stringergli la mano era come afferrare un pesce gatto sudato e melmoso. Potevi sentirgli la puzza del Congresso addosso.
“Il signor De Val e io abbiamo già lavorato assieme in passato. In effetti ho svolto qualche incarico per l’Ufficio per la Preservazione del Santo Sepolcro”. lo diceva ridacchiando; come quando si ricordano i giorni di scuola con i vecchi amici. Dunque, quello era il collegamento di Crowley con gli ambienti cattolici più reazionari ed oscurantisti.
“Ma tratteremo in seguito di questo aspetto. Ora… ora è importante che parliamo d’altro...”. Un cenno di Crowley e la signorina Douprè lasciò la stanza. Tendine nere si abbassavano con un ronzio elettronico trasformando la torre di vetro in un buio confessionale post-moderno. Quel repentino passaggio dalla luce al buio mi da un senso di stomachevole vertigine. Potevo sentire le mie pupille che si dilatavano a fatica, mentre l’odore di diluente chimico ancora mi tormentava.
“Tutti quelli che sono mandati qui, a parlare con me, hanno di solito una domanda da fare. Una domanda per cui smaniano di conoscere le risposte. Lo fanno tutti”. Il suo tono era d’un tratto diventato cupo; come se un’altra persona parlasse da dentro il suo corpo, trasfigurando impercettibilmente le piccole vene attorno agli occhi e le rughe del volto.
“Voi, signori, che cosa sapete dell’Avvento? O meglio… che cosa credete di sapere?”
Ancora lo stomaco in subbuglio momentaneo; nella stanza ora fa più caldo.
Garner balbetta qualcosa; è lui l’esperto in materia. Io mi rifugio dietro cenni d’assenso del capo. Crowley ci osserva con l’espressione del vecchio professore.
“Lei è preparato signor Garner; ha imparato bene la sua lezione...”
E a questo punto, di solito, c’è sempre un ma.
“Ma ci sono aspetti che non può sapere; e non è tenuto ad farlo, non se ne abbia a male”.
Crowley racconta, evidentemente con mille omissioni, chiaramente deformando la sua verità per renderla  comprensibile anche a noi.
Racconta di come già prima del 21 di marzo dell’anno precedente ci fossero evidenze di attività anomali nell’atmosfera; racconta di come Stai Uniti, Cina e qualche democrazia europea già sapessero che presto sarebbe potuto accadere qualcosa di sconvolgente; racconta di come le ingerenze della Corea del Nord, del vecchio progetto SETI e delle industrie farmaceutiche fossero state tirate in ballo ad arte per confondere le acque. O almeno per tentare di farlo.
“Un vecchio progetto di comunicazione astrale prodotto negli anni ’60 da qualche astronomo hippy sballato!” rideva. “Ma la gente è ben abituata a bersi l’assurdo ancora più del verosimile!”.
A quanto pare il 4° Msig era dentro questa faccenda ancora prima che cominciasse.
“Noi abbiamo sempre creduto che rivelare questa verità sarebbe stato un errore fatale. Io non avrei mai lasciato che il Presidente pronunciasse la parola… alieno… Mai”. Il suo sguardo si è fatto terribile, per un momento.
“Finché il contrasto resta confinato entro una dialettica, anche violenta, tra due schieramenti preordinati, l’ordine è facile da controllare. Finché lo scenario ha confini condivisi e ben delimitati, il gioco è semplice; è una commedia delle parti. C’è il reazionario texano che appoggerà il suo presidente anche se dovesse sganciare l’atomica su Montreal. C’è il democratico snob che preferisce l’acid jazz del venerdì al volontariato nelle ronde sul confine texano e getta merda sull’esercito perché non ha salvato quel vecchio pescatore malese dal naufragio della Providence.
Come nel gioco degli scacchi, Garner; lei può avere il bianco, io il nero. Lei muove per primo, mi attacca, cerca di mettermi sotto pressione, di sconfiggermi. Io farò lo stesso. Ma la scacchiera è un quadrato. E non si esce all’infuori di esso. Ci sono sessantaquattro caselle. Le mosse sono “bizzarre” ma predeterminate e ben note ad ogni contendente. L’alfiere muove in diagonale, la torre in linea retta. Non c’è mistero Garner, soprattutto… non c’è improvvisazione né sorpresa. E’ un errore comune scambiare per profondo ciò che è soltanto complesso. Ogni mossa è già davanti ai suoi occhi. Riesce a vederle, Garner?
Così se io dico <<E’ colpa del governo! Bastardi! Avete scatenato la terza guerra mondiale!>>…se io lo grido su ogni rete televisiva, le contromosse saranno qualche migliaia di residuati cappelloni, straccioni di Haight-Ashbury, No Global da mezzo mondo che dopo qualche sit-in del cazzo, magari sfasciano la vetrina della più odiosa delle multinazionali, o convincono il governo francese a chiudere le ambasciate e i consolati in America. E allora? Chissenefrega del governo francese! Non sarebbe successo niente di non controllabile; niente di non già accaduto, prima,  magari decine di volte.
Ma se lei grida << Sono gli alieni! >> … allora, Garner, non ci sono più solo i pezzi neri e i pezzi bianchi; oh no… aggiungiamo un elemento nuovo, talmente nuovo che è al di fuori del nostro quadrato. Non sappiamo come la gente può reagire.
O meglio, ora si. Ma io non avrei corso questo rischio.”
“E nascondere la verità, addossando al governo la responsabilità sarebbe stata un’opzione migliore? Avremmo avuto… il Mondo contro”.
“Come? Come quando abbiamo invaso il Vietnam, o l’Iraq? Come quando abbiamo fatto cadere il governo iraniano? Quando l’America ha avuto il mondo contro? Se una fabbrica farmaceutica appesta l’ambiente, se un oleodotto distrugge l’ecosistema e stermina quell’ultima popolazione di leoni marini. Se la Corea testa missili a lungo raggio… Liberali, democratici, governi europei, Nazioni Unite… tutti sperano nel loro profondo in qualche zotico guerrafondaio reazionario che sconfigga il Nemico e si sporchi le mani con le vittime civili e i diritti umani; ci sperano perché è il modo più veloce di risolvere i problemi complessi. Poi, sicuro! Quattro anni di campagna elettorale a mostrare i bambini sventrati dalle bombe a grappolo; sono mosse subdole. Però ritorniamo dentro il nostro quadrato.
Negli scenari complessi, la risposta più facile è spesso quella giusta.
No, noi avremmo reso un servigio, addossandoci la colpa, avremmo svuotato tutte le pavide coscienze di coloro che si riempiono la bocca di belle parole. E la mossa sarebbe stata ardita, ma sempre dentro la scacchiera.


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