venerdì 4 maggio 2012

Paint it Black - Il Rock e l’estetica del Nero - Introduzione



Il rock n’ roll non nasce come musica “nera”, nel senso tutto cromatico del termine; nessuna accezione a concetti di razza. E’ variopinta, luminescente, dai colori accesi delle Grandi Palle di Fuoco e di Tutti frutti. A metà degli anni ’50 non ha ancora scoperto quell’estetica del “nero” che nella letteratura prima e nel cinema poi era già assai diffusa. I primi esempi, isolati, a volte inconsapevoli, di questa moda nella musica commerciale furono Johnny Cash e Gene Vincent, due musicisti che amavano in maniera quasi perversa vestirsi solo di nero. Ma sarà dalla metà del decennio successivo che il rock scoprirà e abbraccerà in toto le tinte scure, grazie ad artisti come Lou Reed, Mick Jagger, Jim Morrison.

Da qui in avanti il “nero” diventerà una vera e propria moda, basti pensare ai nomi di tanti gruppi degli ultimi 40 anni: Black Sabbath, Black Widow, Black Mountain, Black Keys, Black Angels, Black Flag… ognuno può continuare la lista con i suoi preferiti. Dal “look”, ai testi, alle copertine degli LP: il nero è un must. Tanto che si diffonde addirittura l’espressione “black album” per indicare quelle pubblicazioni le cui copertine concedono ben poco alla fantasia e sono dei monoliti monocromatici. Al contrario l’unico album bianco di cui ci si ricorda è quello dei Beatles, più per sovrastima del prodotto che per reale unicità, ad essere sinceri. E per continuare ad essere sinceri, il “White Album” aveva contenuti  apparentemente molto scuri, chiedere a Charles Manson.
Perché il nero, allora?
Oltre che un singolo colore, il nero è la somma di tutti gli altri, la risultante dello spettro visibile. Il più denso, il più profondo. La serietà e il rigore. E’ il colore del buio, della notte. Il colore di un amore che finisce. E’ il colore dell’altra faccia della luna, quella nascosta. Il nero bene si associa al minimalismo, ai suoni puri, reiterati, ai concetti diretti. Primordiale, indifferenziato, niente forma e solo contenuto. Nero è poi, soprattutto, il colore del lutto, della Morte; dell’umore depresso: malinconia, dal latino melancholia, cioè “bile nera”, uno dei quattro umori da cui derivano, secondo la medicina romana, gli stati d’animo. Il colore della sponda scura del tempo. E’ il colore che naturalmente si associa al satanismo da fumetto di certo rock duro: i Venom ci hanno costruito sopra una carriera e, come se non bastasse, fondato un intero movimento, il “Black Metal”. E’, diametralmente, un colore altrettanto “virginale” che il bianco. E’ l’assenza di luce, cioè uno spazio invisibile e ancora da scoprire, l’ignoto. E’ un viaggio al termine della notte. Dipingi di nero e la gente saprà che il tuo lavoro, la tua arte, è pura, densa, primordiale, legata tanto alla vita quanto alla morte ma senza compromessi; è oltre la linea d’ombra, qualcosa che necessita di rivelazione e quindi di iniziazione. I rocker di seconda generazione, dopo il boom del Rock n’ roll degli anni ‘50, attingono a piene mani a questi concetti per cercare di crescere, di traghettare la loro musica verso una maturità artistica più adulta, per trasformarsi da puri “entertainer” ad artisti a tutto tondo, percepiti e riconosciuti come tali, cercando il consenso non solo in schiere di ragazzine isteriche e urlanti, ma anche tra le pieghe dell’adolescenza più turbata.


Gli show dei Doors a New York quel mese aiutarono a dare Forza e autenticità al nuovo movimento rock. Quella musica si chiamava  rock ma era diversa dal rock and roll. ll rock era adulto virtuosistico, non più infantile e fatuo. Il rock and roll era  apolitico e mirava solo a divertire, mentre il rock aveva un suo   peso e spesso prendeva posizioni politiche, generando correnti di  energia psichica che si spingevano oltre la musica in sé,  verso l'arte e la politica radicale.
Stephen Davis - Jim Morrison. Vita, morte, leggenda


Non si può poi sottovalutare il fatto che, già dai primi anni ’60, il legame tra Rock e Morte appare ineluttabile e inscindibile; la fine prematura, sia pure accidentale, di Buddy Holly, Ritchie Valens, Big Bopper, Eddie Cochran, quella addirittura simbolica del capostipite Hank Williams, le vite tormentate e borderline di Jerry Lee Lewis, Gene Vincent, Johnny Cash e tanti altri: era più che una coincidenza. Suonare musica Rock, ormai era chiaro, significava flirtare con la Morte. Un’idea che a tutti i giovani ribelli piaceva un sacco. Ed allora si risvegliano suggestioni quasi scolastiche: decadentismo, simbolismo, William Blake, l’occultismo di inizio ‘900, quella vena, dark e religiosa insieme, già presente in tanta tradizione blues: musicisti come eroi tardo romantici, menestrelli gotici, filosofi introversi; eroi faustiani. 
Nero. Il colore, la parola, sono dei mezzi, strumenti attraverso cui incanalare questi sentimenti, renderli evidenti e assimilabili dal pubblico; rispondendo ad una impellente necessità di essere veramente “presi sul serio”, di costruirsi come artisti reali, di realizzarsi al di là delle effimere hit di un’estate; possibilmente senza compromessi.


IMMAGINI

Kazimir Severinovič Malevič  Cerchio nero (1913)

1 commento:

Enri1968 ha detto...

Molto interessante la tesi.

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